Islanda: la storia naturale dell’isola di Fuoco e Ghiaccio

L'Islanda emerge dall'Atlantico settentrionale non solo come un’isola di straordinaria bellezza, ma soprattutto come un vero e proprio laboratorio naturale a cielo aperto. Qui, più che in molti altri luoghi del pianeta, i processi geologici si manifestano con una forza e un'immediatezza facilmente comprensibili. Le forze primordiali della Terra – il fuoco vulcanico che erompe dalle sue profondità e il ghiaccio millenario che ne scolpisce incessantemente la superficie – interagiscono in un dialogo continuo e spesso spettacolare.

Questa dinamica estrema ha dato vita a ecosistemi peculiari e ha plasmato forme di vita dotate di un’eccezionale resilienza.

Come vedremo in questo articolo, la storia naturale dell'Islanda è una narrazione avvincente e potente, scritta dalle forze implacabili della geologia e dalle risposte resilienti della vita. È la cronaca di un'isola in perpetua creazione, dove il fuoco delle profondità terrestri e il ghiaccio delle alte latitudini si scontrano e si modellano a vicenda, generando paesaggi di una bellezza primordiale e su una scala impressionante.

Area geotermica islandese, testimonianza del vulcanismo attivo.

La genesi vulcanica: la nascita dal fuoco

La storia geologica dell'Islanda è straordinariamente recente e segnata da un'attività pressoché costante.

L'isola deve la sua stessa esistenza a una potente e rara combinazione di fenomeni tettonici. Infatti, è situata proprio lungo la Dorsale Medio-Atlantica, la vasta catena montuosa sottomarina che segna il confine divergente tra la placca tettonica nordamericana e quella eurasiatica. Queste placche si allontanano l'una dall'altra a una velocità media di circa due centimetri all'anno, un processo continuo di separazione noto come rifting.

Come se non bastasse, l'isola si trova anche sopra un cosiddetto punto caldo (hotspot). Si tratta di un'anomalia termica profonda, un pennacchio di materiale incandescente che risale dal mantello terrestre, generando un flusso di magma particolarmente intenso e persistente, indipendente dal vulcanismo della dorsale. Questa doppia alimentazione – il vulcanismo legato alla separazione delle placche e quello del punto caldo – rende l'Islanda una delle regioni geologicamente più attive e produttive del pianeta.

Recenti studi hanno dimostrato che l'intensa attività vulcanica associata al punto caldo iniziò a costruire un vasto altopiano sottomarino circa 20-25 milioni di anni fa, e le prime terre emersero dall'oceano Atlantico circa 16-18 milioni di anni fa. Le porzioni più giovani dell'isola, concentrate lungo la zona di rift attiva che la attraversa da sud-ovest a nord-est, hanno meno di 700.000 anni. Questo processo di accrescimento è ben lungi dall'essere concluso: continue eruzioni, sia sottomarine che subaeree, aggiungono costantemente nuovo materiale lavico, espandendo l'isola e modificandone continuamente la morfologia.

La lava prevalentemente basaltica, tipica delle eruzioni islandesi, è relativamente fluida e può dare origine a estesi campi lavici. Questi possono presentarsi come superfici relativamente lisce o ondulate (note con il termine hawaiano pahoehoe), oppure come distese caotiche di blocchi scoriacei e taglienti (lava aa), a seconda della viscosità, della velocità del flusso e delle modalità di raffreddamento.

Possiamo individuare diverse forme di vulcanismo islandese:

  1. Eruzioni Fissurali: Imponenti eventi come la catastrofica eruzione del sistema vulcanico Laki nel 1783-1784 hanno riversato volumi enormi di basalto (stimati in circa 14 chilometri cubi) attraverso una frattura eruttiva lunga circa 27 km. Questa eruzione creò campi di lava che coprono quasi 600 km² ed emise nell'atmosfera enormi quantità di gas vulcanici, che causarono gravi ripercussioni climatiche, ambientali e sociali in tutto il continente.

  2. Vulcani a Scudo: Caratterizzati da pendii molto dolci, si formano da eruzioni prolungate di lava basaltica particolarmente fluida che si espande su vaste aree.

  3. Stratovulcani (o Vulcani Compositi): Iconici vulcani come Hekla, Katla o Eyjafjallajökull (quest'ultimo reso tristemente celebre dall'eruzione del 2010 che bloccò il traffico aereo europeo) sono costruiti dalla sovrapposizione di colate laviche più viscose e strati di materiale piroclastico (ceneri, lapilli, bombe vulcaniche). Questi vulcani formano imponenti edifici conici, spesso sormontati da vaste calotte glaciali. L'interazione tra magma e ghiaccio può generare eruzioni particolarmente esplosive e provocare devastanti inondazioni glaciali improvvise, note come jökulhlaup.

Questa incessante attività geologica non solo crea nuova terra, ma modella anche quella esistente: genera spettacolari formazioni come le colonne basaltiche esagonali (visibili ad esempio sulla famosa spiaggia nera di Reynisfjara), vaste caldere, e un'ampia gamma di fenomeni geotermici che rilasciano vapore e gas. Queste manifestazioni testimoniano l'intenso calore che si cela appena sotto la superficie terrestre ed è alla base dell'importante sfruttamento dell'energia geotermica nel Paese, utilizzata per il riscaldamento e la produzione di elettricità.

L'Islanda è, in sostanza, un'isola che ribolle, cresce e si trasforma sotto i nostri occhi.

Vulcano islandese con colata lavica, testimonianza della geologia dell'isola.

L'impronta del ghiaccio: scultori glaciali

Se il fuoco è la forza costruttrice primigenia dell'Islanda, il ghiaccio è stato (ed è tuttora) il suo principale agente scultore.

Durante le ripetute ere glaciali del Pleistocene, iniziate circa 2,6 milioni di anni fa, l'intera isola, salvo forse alcuni picchi più alti (nunatak), fu sepolta sotto una calotta glaciale spessa fino a un chilometro o più, simile a quella che oggi ricopre la Groenlandia. Questi immensi fiumi di ghiaccio, muovendosi lentamente per gravità, esercitarono un'azione erosiva di portata colossale.

Avanzando e ritirandosi al fluttuare delle condizioni climatiche globali, le masse glaciali hanno scavato valli profonde e ampie con il caratteristico profilo a U, ben distinto dalle valli a V modellate dai fiumi. Hanno inciso vasti circhi glaciali nelle valli, affilato creste rocciose e isolato picchi piramidali (noti come horns). Lungo le coste, l'erosione glaciale ha approfondito e allargato le valli fluviali preesistenti, che sono state poi invase dal mare con l'innalzamento del livello oceanico post-glaciale, creando così i magnifici fiordi che frastagliano le coste occidentali, settentrionali e orientali. Infine, al loro ritiro, i ghiacciai hanno rilasciato enormi quantità di detriti rocciosi di ogni dimensione, accumulandoli in creste e colline note come morene, e disseminando nel paesaggio i massi erratici, testimoni silenziosi della loro passata estensione.

Oggi, circa l'12% della superficie islandese è ancora coperta da ghiacciai, tra cui spicca il Vatnajökull, il ghiacciaio più grande d'Europa per volume. Queste calotte glaciali, pur essendo residui delle grandi glaciazioni passate, continuano a essere agenti geomorfologici attivi. La loro fusione estiva alimenta fiumi potenti e carichi di sedimenti finissimi (la cosiddetta farina glaciale), che conferiscono alle acque un colore lattiginoso e costruiscono vaste pianure chiamate sandar (plurale di sandur) lungo le coste meridionali.

L'interazione forse più spettacolare tra le due forze dominanti si verifica quando l'attività vulcanica si manifesta sotto una spessa copertura di ghiaccio. Il calore geotermico o un'eruzione subglaciale possono fondere rapidamente enormi volumi di ghiaccio, creando laghi intrappolati sotto la calotta. Quando la pressione dell'acqua accumulata supera la resistenza del ghiaccio sovrastante, può verificarsi un rilascio improvviso e catastrofico: lo jökulhlaup. Queste immani inondazioni glaciali possono scatenare volumi d'acqua paragonabili a quelli dei più grandi fiumi del mondo, trasportando con sé ghiaccio, massi grandi come case e tonnellate di sedimenti. Il fragore è assordante e la capacità erosiva e deposizionale è tale da poter ridisegnare interi sandar e distruggere infrastrutture in poche ore.

Questo costante antagonismo e interazione tra il calore interno e il gelo superficiale definisce l'essenza geologica dell'Islanda, generando paesaggi di una bellezza primordiale, dinamica e talvolta terrificante.

Veduta aerea del Vatnajökull National Park in Islanda.

Ecosistemi estremi: la sfida della vita

L'isolamento geografico nel mezzo dell'Atlantico settentrionale, la giovane età geologica (con suoli spesso poveri e instabili), e un clima subartico ventoso e variabile hanno reso l'Islanda un ambiente difficile ed estremamente selettivo per la colonizzazione biologica. Di conseguenza, la biodiversità terrestre autoctona, in particolare per quanto riguarda i mammiferi, gli insetti e le piante vascolari, è notevolmente inferiore rispetto alle vicine masse continentali europea e nordamericana. Tuttavia, le specie che sono riuscite ad arrivare e a stabilirsi hanno da sempre dimostrato una notevole capacità di adattamento e un’incredibile resilienza.

La flora islandese è un tipico esempio di tenacia.

Specie pioniere come muschi e licheni sono fondamentali: riescono a insediarsi sulle rocce laviche nude e sui depositi vulcanici sterili, avviando il lentissimo processo di formazione del suolo e preparando il terreno per piante più complesse. Dove il suolo è più sviluppato e le condizioni microclimatiche lo consentono, si trovano invece brughiere dominate da erica (calluna vulgaris), mirtilli, e bassi arbusti come il salice nano (Salix herbacea) e la betulla pubescente, comunemente conosciuta come betulla nana (Betula pubescens). Quest'ultima è l'unica specie arborea nativa capace di formare boschi.

Si stima che all'arrivo dei primi coloni umani, le foreste e le boscaglie di betulla coprissero una porzione significativa dell'isola, forse tra il 25% e il 40%. Oggi, questi boschi sono ridotti a frammenti, ma la loro importanza ecologica rimane cruciale. La vegetazione deve lottare contro una stagione di crescita molto breve (due / tre mesi), venti forti e persistenti che causano stress e disidratazione, temperature basse e il disturbo ricorrente legato all'attività vulcanica, come la copertura da ceneri, all'erosione eolica e idrica, e il perenne gelo-disgelo.

Nel regno animale terrestre, l'Islanda presenta una caratteristica unica in Europa: l'unico mammifero terrestre considerato veramente nativo dell’isola è la volpe artica (Vulpes lagopus, conosciuta localmente come melrakki). Si ipotizza che i suoi antenati siano riusciti a raggiungere queste terre camminando sui ponti di ghiaccio marino formatisi durante l'ultima era glaciale, circa 10.000 anni fa. Questo predatore altamente adattabile, presente in due colori diversi - bianco e blu/grigio - ha così prosperato grazie alla sua flessibilità alimentare (uccelli, uova, carogne, invertebrati, bacche e risorse marine lungo la costa) e alla capacità di resistere a condizioni climatiche estreme. La sua presenza solitaria come unico mammifero terrestre autoctono sottolinea l'efficacia delle barriere oceaniche all'immigrazione spontanea. Un po’ quello che già abbiamo visto esser successo in Nuova Zelanda.

Non esistono rettili o anfibi nativi in Islanda. Tutti gli altri mammiferi terrestri presenti oggi – il topo selvatico, il ratto bruno, il visone americano (sfuggito da allevamenti e diventato una specie invasiva), e le renne (introdotte deliberatamente nel XVIII secolo e ora presenti con una popolazione selvatica gestita nell'est del paese) – sono il risultato di introduzioni tardive ad opera dell'uomo.

Volpe artica (Melrakki) nel suo habitat naturale in Islanda, fauna terrestre nativa.

Il dominio alato e le acque prolifiche

Se la terraferma islandese può sembrare biologicamente contenuta in termini di diversità di mammiferi e piante superiori, le sue coste frastagliate, le imponenti scogliere a picco sul mare e le vaste zone umide interne esplodono di vita, specialmente durante la tarda primavera e l'estate. L'Islanda è infatti una delle roccaforti mondiali per gli uccelli marini, grazie alla straordinaria produttività biologica delle acque circostanti e all'abbondanza di siti di nidificazione sicuri, inaccessibili alla maggior parte dei predatori terrestri.

Milioni di uccelli marini scelgono infatti quest’isola per riprodursi.

Le colonie di pulcinella di mare (Fratercula arctica), con i loro caratteristici becchi multicolori e le andature un po’ goffe, sono forse le più celebri e attirano visitatori da tutto il mondo, ma rappresentano solo una parte di una comunità avicola incredibilmente ricca. Scogliere come quelle di Látrabjarg nei fiordi occidentali (tra le più grandi falesie d'Europa) ospitano densità impressionanti di urie comuni (Uria aalge) e urie di Brünnich (Uria lomvia), gazze marine (Alca torda), fulmari boreali (Fulmarus glacialis), gabbiani tridattili (Rissa tridactyla) e sule bassane (Morus bassanus). Queste enormi congregazioni volatili non sono solo uno spettacolo naturale, ma svolgono un ruolo ecologico vitale, trasferendo grandi quantità di nutrienti dall'ecosistema marino a quello terrestre attraverso principalmente il deposito di guano, che fertilizza la vegetazione costiera.

Le acque interne dell’isola non sono da meno. Le vaste zone umide, i numerosi laghi poco profondi e ricchi di nutrienti, come il celebre lago Mývatn, e i sistemi fluviali offrono habitat ideali per una grande varietà di anatre nidificanti (come l'edredone comune, il cui piumino è tradizionalmente raccolto, e diverse specie di anatre tuffatrici), oche (come l'oca selvatica, Anser anser), il cigno selvatico (Cygnus cygnus), e numerosi uccelli limicoli migratori e stanziali, tra cui il piviere dorato (Pluvialis apricaria), la pettegola (Tringa totanus) e il chiurlo piccolo (Numenius phaeopus). Anche i rapaci trovano il loro spazio, sebbene con popolazioni meno numerose: il maestoso girifalco (Falco rusticolus), il più grande falcone del mondo, è il predatore alato simbolo dell'isola, affiancato dall'aquila di mare coda bianca (Haliaeetus albicilla), la cui popolazione si sta lentamente riprendendo dopo aver quasi sfiorato l'estinzione locale.

Le acque dolci islandesi, generalmente fredde, limpide e ben ossigenate, sono invece l'habitat naturale di popolazioni robuste di pesci d'acqua dolce, principalmente appartenenti alla famiglia dei salmonidi. Il salmerino alpino (Salvelinus alpinus), con diverse forme adattate ai vari laghi e fiumi, è spesso la specie dominante. La trota fario (Salmo trutta) è anch'essa diffusa, con forme sia stanziali che migratrici (trota di mare). In molti fiumi, soprattutto nel sud e nell'ovest, risalgono per la riproduzione popolazioni significative di salmone atlantico (Salmo salar).

L'ecosistema marino che circonda l'Islanda, situato alla confluenza tra le correnti fredde provenienti dall'Artico e quelle più temperate derivanti dalla Corrente del Golfo, è eccezionalmente produttivo. Questo upwelling di nutrienti supporta fioriture di fitoplancton che sono alla base di una ricca catena alimentare, sostenendo non solo le immense popolazioni di uccelli marini e stock ittici commercialmente importanti (come merluzzo, eglefino, aringa), ma anche una notevole diversità di mammiferi marini.

Infine, diverse specie di balene (balenottere minori, megattere, orche, e occasionalmente balenottere azzurre e capodogli) e foche (foca comune e foca grigia) frequentano regolarmente le acque islandesi, rendendole un'area importante per l'osservazione di questi giganti marini. Ma questo capitolo lo approfondiremo meglio prossimamente in un articolo dedicato.

Stern artica  (Kría) nel suo habitat naturale in Islanda, fauna volatile nativa.

L'Era Antropica: impatti e conservazione

L'arrivo dei primi coloni norreni provenienti dalla Norvegia e dalle isole britanniche intorno all'anno 874 d.C. (secondo le fonti tradizionali come l'Íslendingabók e il Landnámabók), segnò un punto di svolta irreversibile per la storia naturale dell'Islanda. Per milioni di anni, l'isola si era evoluta in relativo isolamento, plasmata solo da forze geologiche e climatiche, e abitata da organismi capaci di attraversare l'oceano o resistere alle ere glaciali. L'introduzione dell'uomo, e con esso dell'agricoltura e della pastorizia, innescò cambiamenti ambientali di una rapidità e portata senza precedenti nella storia dell'isola.

La necessità pressante di legname per la costruzione di abitazioni, imbarcazioni e recinzioni, per il riscaldamento domestico e per la produzione di carbone vegetale portò a un abbattimento sistematico e rapido delle foreste e delle boscaglie di betulla originarie.

Questo processo fu esacerbato dall'introduzione del bestiame – pecore, bovini, cavalli – che, lasciato a pascolare liberamente per gran parte dell'anno, non solo consumava la vegetazione erbacea e arbustiva, ma impediva attivamente la rigenerazione naturale degli alberi brucando i giovani germogli.

Le conseguenze di questa doppia pressione (taglio e pascolo) su un ambiente intrinsecamente fragile furono drammatiche. I suoli islandesi sono spesso leggeri, porosi, poveri di nutrienti e scarsamente coesi. La copertura vegetale, in particolare quella forestale, svolgeva un ruolo cruciale nel proteggerli dall'erosione. Una volta rimossa questa protezione, i suoli furono esposti all'azione implacabile del vento forte e delle precipitazioni intense. L'erosione eolica e idrica iniziò a rimuovere lo strato fertile superficiale a un ritmo allarmante, esponendo la roccia madre o la sabbia vulcanica sterile sottostante. Questo portò a una vasta desertificazione, particolarmente evidente nelle aree interne e negli altopiani.

Si stima che oltre la metà della copertura vegetale originaria dell'Islanda sia andata perduta a causa dell'erosione catastrofica innescata dalle attività umane post-insediamento, e che una porzione significativa del suolo fertile dell'isola sia stata irrimediabilmente persa in mare o sepolta sotto la sabbia.

Oggi, l'Islanda si confronta con una nuova serie di sfide ambientali, sovrapposte all'eredità storica dell'erosione.

Il riscaldamento globale sta avendo impatti particolarmente pronunciati alle latitudini artiche e subartiche. Il ritiro dei ghiacciai è visibile e misurabile, con tassi di fusione sempre più accelerati e che modificano i paesaggi, alterano i regimi idrologici dei fiumi glaciali, creano nuovi laghi proglaciali e minacciano gli ecosistemi delicati associati agli ambienti periglaciali. L'aumento delle temperature e i cambiamenti delle precipitazioni influenzano anche la distribuzione della vegetazione e della fauna. Parallelamente, la crescita esponenziale del turismo negli ultimi decenni, se da un lato ha portato notevoli benefici economici alla popolazione, dall'altro esercita una pressione crescente sulle infrastrutture e, soprattutto, sulle aree naturali più iconiche e sensibili. La gestione dei flussi turistici per minimizzare il calpestio della vegetazione fragile, l'erosione dei sentieri, l'inquinamento e il disturbo alla fauna selvatica è diventata una priorità cruciale per l’intero Paese.

Va detto però che, parallelamente alle sfide, è cresciuta in Islanda la consapevolezza del valore e della vulnerabilità del proprio patrimonio naturale. Sono infatti stati intrapresi sforzi significativi e continui per la conservazione e il ripristino ambientale.

Vaste aree del paese sono oggi designate come protette. Il Parco Nazionale del Vatnajökull, che copre circa il 14% del territorio nazionale e include l'intera calotta glaciale omonima e vaste aree circostanti, è uno dei più grandi parchi nazionali d'Europa. Il Parco Nazionale di Þingvellir non è solo un sito di immensa importanza storica come luogo del primo parlamento islandese (Alþingi), ma è anche geologicamente significativo per la visibilità della fossa tettonica della Dorsale Medio-Atlantica; è stato dichiarato Patrimonio dell'Umanità dall'UNESCO per entrambi gli aspetti. Il Parco Nazionale Snæfellsjökull protegge il vulcano-ghiacciaio che ispirò Jules Verne e l'ecosistema costiero circostante. Esistono inoltre numerose riserve naturali e aree protette a livello locale.

Sono in corso importanti programmi nazionali di lotta all'erosione del suolo e di riforestazione, che mirano a stabilizzare i suoli degradati, recuperare la copertura vegetale e nel lungo termine ricostituire parte della copertura boschiva perduta, utilizzando principalmente la betulla autoctona e altre specie adatte al clima locale. Si promuovono inoltre pratiche di agricoltura più sostenibili e si investe nella ricerca e nel monitoraggio ambientale per comprendere meglio le dinamiche degli ecosistemi e informare le decisioni gestionali.

La sfida di oggi e del futuro consisterà nel trovare costantemente un equilibrio sostenibile tra le attività umane e la conservazione di un ambiente naturale che è la risorsa fondamentale dell'Islanda stessa.

Veduta aerea delle forze naturali che modificano il paesaggio d'Islanda.

Filippo Salvioni

Professional Guide • Inspired by the wilderness

https://www.filipposalvioni.com
Indietro
Indietro

I Giganti del Nord Atlantico: guida ai cetacei d'Islanda

Avanti
Avanti

Aotearoa: esplorando la storia naturale unica della Nuova Zelanda